UN NUOVO APPROCCIO ALLA DIAGNOSI ORTODONTICA
PROPOSTA DI UN MODELLO
NEURALE.
Dott. Vassura G.,
Dott. Vassura M., Dott. D’Aloja U., Dr. Venier O.
Dichiarazione preliminare
Gli autori dichiarano che non è attualmente in commercio alcun prodotto
informatico come quello descritto in questo lavoro e per cui lo stesso sia
stato scritto. L’interesse degli autori ha, al momento, una valenza
esclusivamente teorica e di ricerca.
Gli autori mettono luce le gravi carenze diagnostiche e classificative
oggi presenti in ortodonzia, attribuendo ciò alle peculiarità di questa
disciplina medica. A partire da questa base e con argomentazioni aggiuntive
descrivono l’attuale disordine metodologico e operativo che condizionano teoria
e pratica ortodontica. Propongono dunque una soluzione originale al problema
con l’adozione di modelli cognitivi di derivazione matematica definiti neurali
per la loro analogia con la struttura biologica del sistema nervoso centrale.
Da qui è nato un programma che, attualmente, è ancora in fase sperimentale, ma
che è già in grado di simulare correttamente il ragionamento diagnostico
clinico. Vengono così introdotti in ortodonzia i concetti di riproducibilità,
ripetibilità e falsificazione propri delle scienze più mature.
Perché informatizzare la diagnosi ortodontica? Quali sono le novità?
Quali sono le intenzioni? Perché dovremmo rinunciare a quell’aura indefinita e
romantica che accompagna l’ortodontista nella ricerca fascinosa della diagnosi?
“Come l’applicazione è
soggetta ad approssimazioni successive, anche il concetto scientifico
corrispondente a un fenomeno particolare costituisce il raggruppamento delle
approssimazioni successive ben ordinate. La concettualizzazione scientifica ha
bisogno di una serie di concetti in via di perfezionamento per acquisire quel
dinamismo cui ci riferiamo, ossia per formare un asse di pensieri
inventivi. Questa concettualizzazione
totalizza e attualizza la storia del concetto. Al di là della storia, e spinta
dalla storia, essa suscita esperienze destinate a deformare un certo stadio
storico del concetto stesso. Essa ricerca nell’esperienza le occasioni per
complicare il concetto, per applicarlo malgrado la sua resistenza e per
realizzare le condizioni di applicazione che la realtà non riuniva. E’ allora
che ci si rende conto che la scienza realizza i suoi oggetti e non li trova mai
già belli e fatti. La fenomenotecnica estende la fenomenologia. Un concetto
diventa scientifico nella misura in cui diventa tecnico, o viene accompagnato
da una tecnica di realizzazione. Come si vede, il problema del pensiero
scientifico moderno è di nuovo un problema filosoficamente intermedio. Come ai
tempi di Abelardo anche noi vorremmo porci in una posizione intermedia fra i
realisti e i nominalisti, fra i positivisti e i formalisti, fra i partigiani
dei fatti e i partigiani dei segni. In tal modo, ci sottoponiamo alle critiche
che possono giungere da tutte le parti.”
(da G. Bachelard, “La formation de l’esprit
scientifique”, Lib. Phil. J. Vrin, Paris, 1938).
Prima ancora di descrivere nel dettaglio il programma da noi ideato
vogliamo illustrare i presupposti filosofici e metodologici che ci hanno prima
indotto e poi guidato in questo lavoro, in modo tale da mostrare fin da subito
una certa solidità di basi teoriche e la genuinità dei nostri interessi.
Ortodonzia tra scienza ed
empirismo
Probabilmente nessuna altra
branca della medicina sottopone lo specialista ad un percorso logico così
tortuoso ed ostile nella comprensione del caso clinico e nella sua risoluzione
come l’ortodonzia. L’ortodontista moderno si deve misurare con un fronte di
conoscenze in grande espansione, con un numero imbarazzante di teorie ed
ipotesi spesso in conflitto tra loro, con il progressivo miglioramento dei
materiali disponibili e delle relative offerte merceologiche, che si sente il
bisogno di almeno una base di partenza sicura: la diagnosi. Anche in sede
diagnostica però si è esposti ad una quantità di variabili così numerosa e così
variamente articolata nei rapporti reciproci, nelle precedenze e nelle
necessità di essere considerate, da risultare algebricamente insostenibile
anche per un veterano, se non pagando il prezzo di un grande dispendio di
tempo. Non solo patogenesi, quadro clinico e terapia hanno quasi sempre
contorni sfumati e confluenti ma persino le motivazioni del paziente e quelle
dell’ortodontista, quand’anche fossero chiari fin dall’inizio, contribuiscono a
generare una infinita serie di equivoci e di dettagli in grado di modificare
anche in corsa la via terapeutica intrapresa.
In ogni campo della
medicina, ancor prima che nell’odontoiatria generica, l’uomo ha sentito il
bisogno di costruirsi specifiche categorie di pensiero che ha poi chiamato
malattie. Il percorso razionale che porta a far coincidere una serie di segni e
sintomi con una di tali categorie prende il nome di diagnosi. Da almeno
centocinquant’anni nella nostra professione la distinzione, per quanto
artificiale e limitata, dei quadri nosologici in malattie ha consentito ai
professionisti di apprendere, insegnare e confrontarsi su basi comuni, con un
linguaggio universale.
Una breve revisione della
storia della classificazione delle malattie ci mostra come il moderno sistema,
oggi in uso in medicina, sia passato attraverso una prima classificazione per
sintomi, quindi per riscontri anatomo-patologici, poi su basi fisiologiche, e
solo in ultimo in considerazione di fattori eziologici. Ogni classificazione ha
solo modificato la precedente implementandone la capacità descrittiva
attraverso poche scelte parole. Una diretta testimonianza di questo lungo
itinere è facilmente reperibile in qualsiasi indice dei trattati di patologia,
dove, quasi a stratificazioni successive, sono identificabili definizioni
patologiche con razionale diverso.
“I medici hanno studiato milioni di persone
malate e dobbiamo immaginare che neppure due di esse fossero del tutto uguali
per quanto riguarda i loro quadri clinici e i meccanismi causali sottostanti,
ma per costruire una scienza medica era necessario evidenziare le somiglianze e
non le differenze. Era necessario stabilire una classificazione dei pazienti al
fine di classificare la conoscenza e l’esperienza clinica. Da questo punto di
vista, non esistono generi e specie di malattie, e i nomi delle malattie
possono essere considerati etichette che attribuiamo a gruppi di pazienti che
si assomigliano sotto gli aspetti che consideriamo rilevanti”
(Wulff, Pedersen: “Filosofia della medicina”, Ed
Cortina, 1996)
Insomma, anche se come
clinici stiamo con Rousseau: “Il n’y a pas de maladies, il n’y a que de
malades” e il nominalismo ci ripugna, ciononostante è necessario. Non esiste
scienza senza le categorie. Perfino la psichiatria, che addirittura qualcuno
ritiene non pertinente alla medicina, ha sentito questo bisogno. In quel campo gli autori del
DSM (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali) hanno avuto
difficoltà classificative molto simili a quelle che si incontrano in
ortodonzia, tuttavia hanno proceduto
“definendo in modo operativo un grande numero di
disordini mentali, facendo il minor numero possibile di assunzioni circa
l’eziologia, la patogenesi e l’interpretazione psicologica dei sintomi. Essi
basano le loro definizioni sui sintomi e sui segni presentati dai pazienti con
l’obbiettivo di facilitare le indagini empiriche necessarie per aumentare la
nostra conoscenza fattuale e per curare i pazienti in modo più efficace”.
(Wulff, Pedersen: “Filosofia della medicina”, Ed
Cortina, Milano, 1995, pag. 100)
In ortodonzia non solo è difficile pervenire alla diagnosi, in senso
tradizionale, ma addirittura impossibile perché le malattie non sono mai state
neppure classificate in modo convincente. Francamente non sappiamo se
classificare nominalmente le patologie ortodontiche in modo tradizionale sia
possibile: al momento anche noi non siamo in grado di farlo e in attesa che ci
riesca qualcun altro proponiamo di aggirare l’ostacolo, con un sistema
classificativo non certo originale ma non ancora omologato: quello basato sui
criteri terapeutici.
Riteniamo che tanto nella pratica
quanto nella scienza ortodontica l'accettazione del confronto dialettico su
casi clinici omogenei per protocolli di trattamento debba diventare lo
standard, fintantoché criteri più tradizionali colmino questa grave lacuna. Non
avvertiamo imbarazzo nell’elevare a regola un procedimento diagnostico, del
tipo “ex adiuvantibus”, che nel corso della nostra formazione di medici è stato
sempre relegato al ruolo di extrema ratio piuttosto empirica (nel senso meno
nobile del termine).
In effetti ci sorprende che
tutto ciò in ortodonzia non sia mai stato fatto e non si può dire che non se ne
senta il bisogno. Ma soprattutto ci sorprende che in pochi si rendano conto di
come questa lacuna impedisca di fatto all’ortodonzia di diventare una scienza.
Di certo non ha dignità di scienza una disciplina nella quale non ci sono standard
nella definizione di un quadro nosologico, nella metodica di rilevazione dei
sintomi e dei segni, nelle strategie di trattamento, nella verifica della
qualità dei risultati. Ciò che è peggio, il taglio artigianale di una
professione che resta almeno per metà manuale, al pari di una arte, ostacola
definitivamente un sereno giudizio sulla riproducibilità dei dati.
Tuttavia riteniamo che, su un ristretto numero di casi, ci possa essere
un accordo universale tra gli ortodontisti su alcuni fattori quali: necessità
di trattamento, strategie generali ed obbiettivi primari di risultato. Questo
può costituire una base comune sulla quale noi intendiamo sviluppare il nostro
progetto. In altre parole siamo convinti che sia possibile associare quadro
clinico (non diagnosi) e strategia di trattamento (non terapia), delegando poi
alla sensibilità ed alle inclinazioni di ciascuno la definizione di malattia in
partenza e di cura alla fine.
Il progetto
L’idea che il ragionamento clinico si potesse ribaltare scaturisce
dalla pratica clinica più che da un proposito speculativo, nonché dagli
illuminati insegnamenti del dott. J. Giordanetto. I ripetuti tentativi di
sbrogliare l’intricata matassa diagnostica dei casi ortodontici si scontra
quotidianamente con un range di opzioni terapeutiche piuttosto limitato in
generale ed ancor di più a fine crescita. Far passare il mare della diagnosi
attraverso l’imbuto della terapia ha significato restringere, per esclusione,
le strategie terapeutiche meno appropriate. Alla luce di questa considerazione
abbiamo revisionato tutta la nostra casistica e ci siamo resi conto che, a
patto di conoscere il significato di ogni dato diagnostico, sarebbe stato più ergonomico
procedere in questo senso piuttosto che in quello tradizionale: confermare la
diagnosi attraverso l’esclusione delle terapie meno appropriate invece che
pianificare il trattamento in base alla diagnosi. Oggi sosteniamo che sarebbe
ancora più ergonomico che a farlo fosse il computer.
L’ortodonzia ha conservato a tutt’oggi una sorta di verginità nei
confronti dell’informatica, appena scalfita in passato dalla creazione di data
base abbastanza comuni, gestionali di cartelle cliniche spesso condivisi con
altre discipline, nonché da validi programmi per la cefalometria.
Anche i più noti softwear di supporto alla diagnosi sono però gravati
da limiti intrinseci, rappresentati dall’apparentamento ideologico-filosofico a
scuole o tecniche ortodontiche, che ne pregiudica dunque un uso più esteso.
Quello che ci proponiamo è
di allestire un supporto informatico al ragionamento deduttivo del
clinico in grado di condurlo attraverso la selva di informazioni che chiunque,
anche il meno esperto, può trarre dal caso: un algoritmo logico che, affrancato
da parentele filosofiche ingombranti, consenta un percorso diagnostico univoco
ed oggettivo muovendo da basi modulabili soggettivamente, secondo le
convinzioni e le attitudini peculiari di chi lo usa; ciò che potrà dunque
costituire lo standard di cui tanto si sente la mancanza nella nostra
pratica: uno standard flessibile, suscettibile di diversa parametrizzazione dei
dati in entrata ma di identica restituzione dei dati in uscita.
Nell’articolato panorama delle discipline mediche l’ortodonzia si
distingue per un carattere che ci è di grande vantaggio in questo progetto:
l’approccio clinico al paziente, nel senso semeiotico classico, è
guidato da segni e non da sintomi (fatta salva la percezione estetica del
paziente). In ortodonzia non è necessario sapere interpretare singolarmente
ogni dato, poiché esso è oggettivo, quantificabile, essendo misurato in
millimetri o in gradi; “l’occhio clinico” interviene piuttosto quando è l’insieme dei dati a dover produrre una sintesi:
la diagnosi ovvero la scelta terapeutica. E’ da rimarcare il fatto che spesso
il ragionamento del clinico si dipana per percorsi così tortuosi e oscuri da
trasformare quello che dovrebbe essere un processo deduttivo per eccellenza in
induttivo, e per questo difficilmente ripetibile, riproducibile e
confutabile. Ciò comporta limiti che la scienza non consente, né nella
ricerca, né nella didattica, conducendo l’ortodonzia nell’orbita dell’arte.
“Una caratteristica
abbastanza curiosa dello spirito (pre)scientifico è quella di non potere
dirigere le sue critiche contro se stesso. Lo spirito scientifico ha una
capacità di autocritica ben diversa. [….] Per il progresso del pensiero, quello
che limita una conoscenza è speso più importante di quello che la estende in
modo vago”
(G.
Bachelard, “La formation de l’esprit scientifique”, Lib. Phil. J. Vrin, Paris,
1938).
In un primo tempo i nostri sforzi si sono rivolti verso la formalizzazione
logica del ragionamento diagnostico, come ogni giorno lo svolgiamo nel
nostro studio. Abbiamo presto dovuto constatare che il percorso cognitivo che
porta dai dati alla diagnosi e dalla diagnosi alla terapia è un così complesso gioco di priorità e di
precedenze tra le variabili, da non raggiungere talora il livello di coscienza.
Il lungo lavoro di accostamento delle variabili in gioco ci ha portato a delle
considerazioni scoraggianti, nell’ambito di un sistema aperto come quello
descritto più oltre:
1.
non
esistono variabili critiche: non è possibile concordare a priori
sull’importanza di una o più fra le variabili tale per cui essa condizioni la
diagnosi (e di conseguenza il piano di trattamento) di ogni caso clinico.
2.
non
esistono variabili trascurabili: non è possibile concordare a priori
sull’importanza di una o più fra le variabili del sistema aperto tale per cui
essa non condizioni mai la diagnosi (e di conseguenza il piano di trattamento)
di ogni caso clinico.
3.
sia
possibile allestire un algoritmo classico ad albero o diagrammi di
flusso solo nell’ambito di un sistema chiuso e solo al prezzo di un grande
dispendio di tempo.
Abbiamo immaginato un gioco a parti invertite che ci pare molto
chiarificatore sulle difficoltà che esistono in ortodonzia nel formulare la
coppia diagnosi-trattamento.
I protagonisti del gioco sono un esperto in ortodonzia e una
“macchina”. L’esperto deve formulare un piano di cura corretto per un caso
ortodontico che non può visitare, ma che la macchina, se interrogata, è in
grado di descrivergli. Egli può porre una sola domanda alla volta e dopo ogni
domanda deve indicare un trattamento. Quando riterrà di avere dato la risposta
corretta riceverà una penalità per ogni risposta errata precedente.
Supponiamo che la prima domanda riguardi i valore di anb che in
risposta riceva: “anb = 8°”. Non avendo altri riferimenti ed essendovi
obbligato dalle regole del gioco egli azzarderà: “estrazione dei due primi
premolari superiori”. Abbiamo immaginato che il gioco continui come segue:
ESPERTO Domanda |
MACCHINA Risposta |
ESPERTO Prescrizione |
Anb |
8° |
Ex. 14, 24 |
Affollamento anteriore
inferiore |
3 mm |
Non estrazioni |
Affollamento medio
inferiore |
4 mm |
Ex. 14, 24, 35, 45 |
Impa |
110° |
Ex. 14, 24, 34, 44 |
Fma |
40° |
Ex. 16, 26, 34, 44 |
Sna |
72° |
Chirurgia |
Età |
12 anni |
Ortopedia |
….. |
….. |
….. |
Per non appesantire il ragionamento ci siamo fermati qua, ma siamo
sicuri che l’esperto avrebbe posto molte altre domande se avesse potuto. Per
esempio se potesse sapere che il paziente è femmina sarebbe disposto a cambiare
ancora idea. Se sapesse che ha avuto il menarca all’età di nove cambierebbe
idea sicuramente.
In questo immaginario test clinico non hanno tanta importanza la
qualità e la pertinenza di domande e di risposte per le quali chiediamo
indulgenza. L’esperto, sullo stesso caso, ha cambiato parere ben 6 volte e, si
badi, senza mai commettere errori grossolani. Semplicemente ogni variabile in
entrata è risultata in qualche modo critica in senso diagnostico e terapeutico,
e dunque nessuna può essere considerata tale in senso assoluto. E’ interessante
notare come l’ordine delle variabili considerate sia del tutto indifferente
sulla valutazione finale dell’esperto. Per giunta sarebbe stato possibile
introdurne molte altre.
Ci siamo resi conto ben presto che era necessario allestire un sistema
in grado di ovviare a questi limiti e che contemplasse caratteristiche quali:
1.
capacità
autonoma di pesatura delle variabili
2.
flessibilità
sufficiente per adattare le pesature di caso in caso
3.
autoapprendimento
per affinare nel tempo le due caratteristiche precedenti e cimentarsi con casi
inconsueti.
La matematica prima e l’informatica poi ci vengono incontro con uno
strumento che soddisfa queste nostre esigenze: le reti neurali.
Il modello sperimentale del
programma, in fase di allestimento, beneficerà di un requisito fondamentale,
quello che, per mutuare un termine caro alla fisica, definiamo sistema
chiuso: esso ci consente di uscire dal circolo vizioso in cui cade chi
sente da una parte la necessità di quantificare tutto, di non tralasciare i
dettagli, di fornire al supporto logico o informatico che si vuole allestire il
bagaglio completo dei dati attraverso il quale sia in grado, in modo
indipendente, di restituirci un lavoro; dall’altra l’impossibilità di
correlare, almeno per ora, tutte le variabili, per così dire, panoramiche,
periferiche di ogni singolo caso. Dopo aver arbitrariamente escluso queste
ultime, ci riserviamo la facoltà di riconsiderarle in fase di implementazione
dello strumento informatico già approntato, magari con procedimenti ripetuti di
falsificazione.
“Non il possesso della
conoscenza, della verità inconfutabile, fa l'uomo di scienza, ma la ricerca critica, persistente ed inquieta, della
verità. […] Se si vuole mettere al sicuro la falsificabilità ricorrendo a decisioni
metodologiche, queste decisioni devono limitare l'introduzione di ipotesi ausiliarie.
La prima di queste
limitazioni si può esprimere sotto forma del principio della chiusura del
sistema”.
(K. Popper, “I due problemi fondamentali
della teoria della conoscenza”, tr. It. ed. Il saggiatore, Milano, 1987, pag.
399).
La
definizione del sistema chiuso avrebbe richiesto o un grande lavoro di potatura
sull’albero delle variabili oppure, viceversa, l’individuazione di parametri
cardinali imprescindibili per ogni caso ortodontico compreso nel sistema
chiuso, e tali per cui il programma che li conosce sia in grado di impostare
sempre e comunque una diagnosi ed un piano di trattamento corretti. Questa seconda strada è sicuramente la più
percorribile.
Il sistema è aperto
nel momento in cui per dovere di completezza si compila una accurata cartella
clinica del paziente, mettendo così sul tappeto tutte le possibili variabili di
studio. Il programma lavorerà in un sistema aperto solo nella sua versione
estrema di perfezionamento, vale a dire quando le sue capacità saranno
implementate a tal punto da considerare tutte le variabili significative.
La selezione dei parametri minimi e sufficienti allo scopo diagnostico
(così come è stato definito in precedenza) ha avuto come obbiettivo di
conciliare brevità e completezza. Come paradigma di sistema aperto viene preso
il protocollo di studio del caso ortodontico in atto presso i nostri studi.
Esso prevede diverse sezioni, nelle quali ogni più marginale aspetto clinico
del caso viene considerato:
Anagrafica
Anamnesi medica generale
(fisiologica, lavorativa, patologica remota, patologica prossima)
Anamnesi odontoiatrica
generale (fisiologica, patologica, radiologica)
Anamnesi ortodontica (visite
e trattamenti precedenti, comportamenti viziati)
Esame obbiettivo esterno
(ispezione, funzioni, parafunzioni)
Esame obiettivo interno
(parodonto, igiene, lingua, orofaringe, mucose, carie)
Esame radiografico
(ortopantomografia, teleradiografia latero laterale, teleradiografia a-p,
stratigrafia dei condili, rx occlusali, rx del carpo)
Analisi cefalometrica
(divergenza, classe scheletrica, asimmetrie, crescita, valori angolari e
lineari vari)
Studio dei modelli
(affollamento, agenesie, sovrannumeri, perdita di elementi, rapporti occlusali
sui tre piani, diastemi, rotazioni)
Studio fotografico (estetica
profilo, asimmetria, atteggiamento)
Elenco dei problemi
Elenco delle soluzioni
terapeutiche
Richieste ed aspettative da
parte del paziente
Gli specifici
requisiti di un sistema ortodontico chiuso sono invece rappresentati da 15
costanti e 6 variabili. Esse sono raccolte nella tabella I.
Tabella I.
Caratteristiche del sistema chiuso.
COSTANTI
|
VARIABILI |
Articolato dentizione
permanente |
Grado di affollamento
dento-basale |
Assenza di patologie
sistemiche |
Entità di divergenza
scheletrica |
Assenza di patologie del
cavo orale |
Rapporti di classe
scheletrica |
Piena collaborazione da
parte del paziente |
Rapporti di classe dentale |
Completa disponibilità
economica del paziente |
Altezze facciali |
Assenza di trattamenti
precedenti |
Tipologia di profilo |
Formula dentale completa |
|
Assenza di richieste
estetiche |
|
Età non superiore a 30
anni |
|
Nessun limite
professionale dell’ortodontista |
|
Disponibilità di
specialisti complementari |
|
Assenza di problematiche
articolari |
|
Ambito finito di scelte
terapeutiche |
|
Sempre contenzione a fine
cura |
|
Assenza di cross bite
chirurgici |
|
La nostra familiarità con
l’analisi cefalometrica di Tweed-Merrifield ci ha indotto ad utilizzare
questo tipo di misurazione per i parametri del sistema chiuso. La scelta è del
tutto arbitraria e del tutto ininfluente per gli scopi del lavoro; avrebbe
potuto essere un’altra, o potrà in futuro, anche se bisogna riconoscere che,
per il tipo di lavoro che ci accingiamo a fare, questo sistema garantisce
vantaggi sicuri rispetto agli altri: in primo luogo è un sistema cefalometrico
creato su e per pazienti a fine crescita, inoltre si compone di un numero di
rilevazioni abbastanza contenuto ed infine è largamente diffuso nella pratica
ortodontica.
Tabella II. Base di
conoscenze del sistema, sec. Tweed. Primi 40 casi.
|
|
Triangolo
diagnostico |
Analisi
sagittale |
Analisi
verticale |
|
|
|
Analisi
affollamento |
|
|
||||||||
Età |
sex |
fma |
fmia |
impa |
sna |
snb |
anb |
pfh |
afh |
ind |
aobo |
z |
op |
ant |
med |
pos |
classe |
spee |
14 |
1 |
34 |
41 |
105 |
83 |
73 |
10 |
42 |
63 |
66 |
9 |
48 |
15 |
2 |
2 |
0 |
7.5 |
2 |
16 |
1 |
21 |
50 |
109 |
77 |
70 |
7 |
49 |
62 |
79 |
-8.5 |
58 |
4 |
-3 |
-3 |
-0.3 |
10 |
3.5 |
15 |
0 |
28 |
48 |
104 |
79 |
73 |
6 |
52 |
74 |
70 |
7 |
64 |
8 |
-3 |
0 |
-10 |
5 |
2 |
11 |
0 |
28 |
55 |
97 |
80 |
75 |
5 |
44 |
64 |
68 |
2 |
66 |
12 |
-6 |
0 |
-2.5 |
5 |
3.5 |
14 |
1 |
39 |
51 |
90 |
73 |
65 |
8 |
37 |
72 |
51 |
7 |
58 |
14 |
-4 |
0 |
-19 |
0 |
3 |
14 |
0 |
38 |
50 |
92 |
76 |
70 |
6 |
47 |
74 |
63 |
4 |
47 |
16 |
-3 |
0 |
-20 |
0 |
2.5 |
15 |
0 |
23 |
76 |
81 |
88 |
84 |
4 |
46 |
66 |
69 |
-1 |
75 |
12 |
-9 |
3 |
-6 |
0 |
5.5 |
13 |
1 |
22 |
70 |
88 |
83 |
78 |
5 |
42 |
60 |
70 |
2 |
79 |
3 |
-4 |
-1.3 |
4 |
0 |
5 |
13 |
0 |
29 |
66 |
85 |
81 |
74 |
7 |
40 |
69 |
67 |
6 |
63 |
8 |
-9 |
-3 |
-18 |
10 |
4.5 |
13 |
1 |
20 |
67 |
92 |
78 |
74 |
4 |
47 |
58 |
81 |
1 |
66 |
6 |
-3 |
0 |
-8 |
0 |
4.5 |
15 |
1 |
25.1 |
50.5 |
104.4 |
84.1 |
79.2 |
4.9 |
44.6 |
62.2 |
71 |
1.6 |
56.6 |
11.1 |
-4 |
5 |
-14 |
0 |
0 |
12 |
0 |
25 |
75 |
80 |
81 |
81 |
0 |
43 |
63 |
68 |
-3 |
74 |
12 |
-8 |
-2 |
-10.5 |
0 |
2 |
23 |
1 |
22 |
72 |
86 |
74 |
76 |
-2 |
54 |
63 |
85 |
-6 |
90 |
2 |
-2.5 |
1 |
9 |
0 |
-1.5 |
13 |
1 |
29 |
60 |
91 |
75 |
72 |
3 |
42 |
64 |
68 |
-1 |
65 |
11 |
-6 |
-4 |
-10 |
0 |
0 |
11 |
1 |
26 |
52 |
102 |
83 |
77 |
6 |
58 |
43 |
74 |
5 |
65 |
9 |
-2 |
0 |
-18 |
5 |
2 |
20 |
1 |
57 |
20 |
103 |
84.5 |
81 |
3.5 |
56 |
77 |
72 |
3.5 |
69 |
-2 |
-3 |
1 |
-13 |
0 |
1 |
11 |
0 |
20 |
62 |
98 |
87 |
83 |
4 |
48 |
57 |
84 |
1 |
68 |
4 |
-2.5 |
-2 |
-6 |
5 |
4 |
13 |
1 |
19 |
67 |
94 |
82 |
77 |
5 |
46 |
61 |
75 |
0 |
67 |
8 |
-4 |
1.4 |
-18 |
0 |
4.5 |
12 |
1 |
20 |
53 |
107 |
81 |
78 |
3 |
47 |
59 |
79 |
2 |
78 |
6 |
0 |
0 |
-18 |
10 |
4 |
12 |
1 |
27 |
57 |
96 |
80 |
75 |
5 |
35 |
59 |
59 |
0.5 |
68 |
11 |
-2 |
-2 |
-10 |
4 |
3 |
22 |
1 |
24.4 |
59.8 |
95.8 |
83.4 |
78.6 |
4.8 |
54.3 |
73.3 |
74.1 |
1.3 |
75.4 |
6.1 |
-2 |
4 |
0 |
0 |
5.5 |
12 |
1 |
18 |
64 |
98 |
78.7 |
75.1 |
3.6 |
49 |
60 |
81 |
0.4 |
71 |
3 |
-6 |
0 |
0 |
0 |
0 |
14 |
0 |
29 |
72.7 |
78.3 |
76.5 |
75.8 |
0.7 |
47.1 |
72.5 |
65 |
-1.5 |
75.8 |
4.7 |
0 |
-4 |
0 |
0 |
2.5 |
14 |
0 |
19 |
58 |
103 |
82 |
76 |
6 |
42 |
58 |
72 |
1 |
62 |
8 |
-2 |
0 |
-16 |
10 |
3 |
11 |
0 |
22 |
63 |
95 |
80 |
78 |
2 |
45 |
63 |
71 |
1 |
77 |
3 |
4 |
3 |
0 |
0 |
0 |
13 |
1 |
15 |
55 |
110 |
85 |
79 |
6 |
42.5 |
51 |
83 |
4 |
71 |
6 |
0 |
0 |
5 |
10 |
4 |
10 |
1 |
26 |
51 |
103 |
84 |
78 |
6 |
47 |
64 |
73 |
1.5 |
60 |
9 |
-3 |
0 |
-10 |
0 |
0 |
15 |
1 |
37 |
45 |
98 |
83 |
73 |
10 |
48 |
69 |
69 |
2 |
53 |
0 |
-5 |
-2 |
-10 |
0 |
0 |
24 |
0 |
19 |
73 |
88 |
78 |
76 |
2 |
55 |
76 |
72 |
1 |
86 |
5 |
-4 |
0 |
0 |
0 |
4 |
11 |
0 |
28 |
53 |
99 |
90 |
84 |
6 |
38 |
61 |
62 |
0 |
61 |
10 |
0 |
0 |
0 |
0 |
0 |
13 |
0 |
31.3 |
55.6 |
92.5 |
81.7 |
75.4 |
6.3 |
35.9 |
62.5 |
57.5 |
3.2 |
55.8 |
12.5 |
-5 |
-1 |
0 |
0 |
2.5 |
20 |
1 |
23 |
56 |
103 |
81 |
79 |
2 |
49 |
68 |
72 |
-2 |
77 |
9 |
-3.5 |
0 |
-6 |
0 |
2 |
18 |
1 |
10 |
61 |
109 |
82 |
78 |
4 |
49 |
57 |
85 |
4 |
77 |
0 |
0 |
-1 |
-2 |
10 |
5 |
19 |
1 |
25 |
66 |
89 |
72 |
71 |
1 |
40 |
70 |
57 |
-2 |
71 |
7 |
-1 |
0 |
0 |
0 |
0 |
11 |
1 |
20 |
64 |
96 |
83 |
82 |
1 |
46 |
68 |
67 |
-6.5 |
78 |
4 |
-1 |
0 |
-6 |
0 |
0 |
16 |
1 |
25 |
50 |
105 |
84 |
79 |
5 |
46 |
62 |
74 |
1.5 |
55 |
8 |
-4 |
0 |
-14 |
7.5 |
0 |
12 |
1 |
29 |
58 |
93 |
82 |
75 |
7 |
44 |
63 |
69 |
4 |
72 |
10 |
-6 |
0 |
0 |
5 |
0 |
17 |
1 |
33 |
60 |
87 |
77 |
71 |
6 |
41 |
63 |
65 |
4 |
65 |
12 |
0 |
0 |
0 |
10 |
4 |
14 |
1 |
26 |
70 |
84 |
79 |
76 |
3 |
45 |
71 |
63 |
1 |
71 |
8 |
-2 |
-2 |
-8 |
10 |
5 |
12 |
1 |
20 |
64 |
96 |
80 |
76 |
4 |
46 |
65 |
70 |
4 |
73 |
0 |
0 |
0 |
0 |
7.5 |
4 |
Rapporti sagittali: secondo la classificazione
di Angle, al programma sarà nota la relazione intermascellare sia dal punto di
vista scheletrico (ANB, Ao-Bo), sia da quello dentale. Nelle seconde classi,
con buona approssimazione, si è convenuto quantificare la discrepanza in 5 mm
per lato per una classe II molare completa e 2.5 mm per una classe II molare
testa a testa. Valore accessorio è da considerarsi l’angolo del piano occlusale
(OP) in grado di modificare le scelte terapeutiche
Analisi della divergenza: è espressa dall’angolo
FMA. Le relazioni tra angolo di divergenza e rapporti di classe dentale e
scheletrica rappresentano uno spunto di lavoro importante all’interno
dell’algoritmo. Valori ausiliari sono l’altezza facciale posteriore (PFH),
quella anteriore (AFH) e soprattutto il rapporto tra le due (Index).
Valutazione
dell’affollamento: al programma vengono fornite le rilevazioni in mm del grado di
affollamento dentale nell’arcata inferiore diviso per settori: anteriore, medio
e posteriore. A questo proposito si registrano anche la necessità di
riposizionamento incisivo inferiore nonché la correzione della curva di Spee e
dei rapporti di classe dentale.
Valutazione del profilo: il grado di convessità del profilo viene valutato dalla linea Z, nel
suo rapporto angolare con il piano di Francoforte, quello di
protrusione\retrusione si esprime in termini di sna e snb. Si rimanda alle
capacità del programma la determinazione della componente anomala di un profilo
mediante il confronto tra i valori dell’angolo Z e quelli di SNA, SNB e
divergenza.
Tabella III. Riepilogo dei
dati noti.
FMA
|
SNA |
Ao-Bo |
PFH |
Affollamento anteriore |
Curva di Spee |
FMIA |
SNB |
Z |
AFH |
Affollamento medio |
Correzione di classe |
IMPA |
ANB |
OP |
INDEX |
Affollamento posteriore |
|
L’insieme dei dati noti, riassunto dalla tabella III, di un
numero congruo di casi costituisce la base di conoscenza dell’intero algoritmo: in
altre parole la sua esperienza clinica. L’introduzione di un nuovo caso,
corredato dei dati specifici del sistema chiuso, andrà a rappresentare il
quesito diagnostico ovvero i “dati in ingresso” nel sistema; così come la
risposta, sotto forma di scelta terapeutica ottimale, rappresenta il “dato in
uscita”.
Esaminiamo ora dunque il ristretto ambito delle scelte terapeutiche, da
noi arbitrariamente circoscritto alle variabili riassunte nella tabella IV.
Tabella IV. Ambito delle
scelte terapeutiche.
Nessuna estrazione |
Ex. Settore medio |
Ex. Settore poster. |
Ex. anomale |
Chirurgia |
|
Ex. 14, 24 |
Ex. 16, 26 |
Ex. Incisivo inferiore
|
|
|
Ex. 14, 24, 34, 44 |
Ex. 16, 26, 36, 46 |
Otto estrazioni |
|
|
Ex. 14, 24, 35, 45 |
Estrazione altri molari |
|
|
|
Ex. 15, 25, 34, 44 |
|
|
|
|
Ex. 15, 25, 35, 45 |
|
|
|
Le caratteristiche del
programma
La soft computing è quella
parte dell’informatica che si occupa di cercare di risolvere con l’ausilio
della potenza dell’elaboratore quelli che vengono definiti problemi
complessi. In un ambito operativo definito complesso il numero delle
variabili in gioco è così alto da rendere impossibile lo studio a priori tutte
le possibili combinazioni. L’ingegneria del software ha sentito dunque la
necessità di invadere il campo filosofico dell’epistemiologia, alla ricerca
della formazione della conoscenza e studiando nuove tecnologie di
programmazione.
In questo senso
l’intelligenza artificiale ha scelto la strada di insegnare ai computer come
apprendere la conoscenza, anziché pretendere che il computer sia programmato a
priori per gestire i problemi che gli vengono di volta in volta presentati.
Il nostro programma procede
sulla strada del soft computing per mezzo di una rete neurale. Una rete neurale
è un modello matematico di ispirazione biologica; una tecnologia che imita la
struttura e la funzione delle connessioni neuronali cerebrali (fig. 2) e mediante
l’apprendimento, nello svolgimento di un problema complesso, sortisce soluzioni
analoghe a quelle cui perverrebbe il nostro sistema nervoso centrale. In essa “le
unità di calcolo elementari corrispondono ai neuroni e la rete nel suo
complesso corrisponde ad un gruppo di neuroni connessi tra loro”. (S.
Russell e P. Norvig, “Intelligenza artificiale un approccio moderno”, ed. Utet,
1998).
Sistemi simili di intelligenza
artificiale sono oggi abitualmente impiegati con successo dall’uomo nei più
svariati ambiti di applicazione: industriale, sociale e soprattutto medico.
Alcuni esempi sono il riconoscimento della vulnerabilità da eroina, la
simulazione di scenari sociali dinamici, la cosiddetta Constraint Satisfaction
per la valutazione del trattamento terapeutico, il riconoscimento di soggetto
con rischio di dipendenza da alcool, riconoscimento e trattamento di soggetti
con possibili disturbi del comportamento alimentare, le tecniche di imaging con
differenziazione tra neoplasie maligne e benigne, il riconoscimento dell’evento
coronarico acuto.
Uscendo dall’ambito medico,
il più brillante e noto esempio di impiego della rete neurale è forse
rappresentato dai software di riconoscimento caratteri altrimenti detto OCR.
“Aldilà delle loro utili proprietà computazionali,
le reti neurali offrono forse la migliore opportunità di capire molti fenomeni
psicologici che emergono dalla struttura e dalle operazioni specifiche del
cervello. […] L’attrattiva finale delle reti neurali è che sono progettate per
essere addestrate usando un algoritmo di apprendimento induttivo. […] Una rete
neurale è composta da un certo numero di nodi, o unità, connesse da
collegamenti. Ciascun collegamento ha un peso numerico associato ad esso. I
pesi sono il principale mezzo di memorizzazione a lungo termine nelle reti
neurali e l’apprendimento in genere ha luogo aggiornando i pesi. Alcune unità
sono collegate con l’ambiente esterno e possono essere designate come unità di
ingresso o di uscita. I pesi vengono modificati in modo tale da portare il
comportamento della rete, in termini di associazione di uscite agli ingressi,
ad essere più in linea con quanto richiesto dall’ambiente che fornisce gli
input”.
(Fig. 3).
(S. Russell e P. Norvig, “Intelligenza artificiale
un approccio moderno”, tr. It. ed. Utet, Torino, 1998, pagg. 605-609).
Inutile sottolineare la
necessità di una solida base di conoscenze: vale a dire una inappuntabile
selezione dei casi, sia per l’ovvia opportunità di mettersi al riparo dalle
critiche sia per non sviare il sistema che deve generare l’algoritmo. Sarebbe
come mettersi in navigazione con la bussola rotta. Abbiamo effettuato una
selezione di casi in cui diagnosi e terapia fossero state impostate da
professionisti di comprovato valore e adusi al linguaggio con cui parlerà il
nostro algoritmo. La qualità dei risultati a fine trattamento, tutti
documentati, rappresenta la migliore garanzia del prodotto del sistema.
Tutti i casi sono stati trattati con apparecchiatura fissa secondo le
prescrizioni della tecnica Tweed ed i trattamenti sono stati condotti seguendo
gli indirizzi di tale filosofia.
Ciascuno di essi è stato ridotto a sistema chiuso restringendo il
numero di variabili considerate come già detto, avendo avuto in precedenza cura
di scartare a priori i pazienti che non si prestassero allo scopo.
Il sistema è apparso molto più equilibrato solo in un terzo tempo,
quando abbiamo portato a 120 il numero dei casi. Il programma è ancora
visibilmente sbilanciato verso un maggior numero di casi con scelte
terapeutiche più frequenti, come per esempio i casi estrattivi dei quattro
primi premolari. Abbiamo notato infatti che popolando quantitativamente in modo
bilanciato il sistema con casi di scelta terapeutica differente era possibile
ottenere risposte probabilisticamente più corrette.
Limiti attuali e potenzialità
Ci piace pensare che a breve saremo in grado di fornire al sistema un
numero così alto di casi in entrata da rendere completa la base di conoscenze
del programma. Attualmente stimiamo che 500 casi possano soddisfare questo
obbiettivo.
Ma forse questo non è il problema principale, che è rappresentato
piuttosto dalla approssimazione con cui attualmente è possibile rilevare i dati
cefalometrici. Una allettante novità in questo senso è rappresentata dai
recenti grandi lavori di J.Faure e J. Treil che per primi ci danno
l’opportunità di una rilevazione scientifica dei punti di repere diagnostici,
così come dovrebbe essere nella routine di questa specialità.
Per quanto attiene invece la completezza del sistema procederemo in
futuro all’ammissione di dati aggiuntivi, aprendo e ampliando il ventaglio dei
dati in entrata e di quelli in uscita. Forzare il sistema chiuso per gradini
consentirà di far lavorare il programma sempre entro margini di sicurezza
garantiti.
L’implementazione più immediata sarà l’affiancamento di un programma
per cefalometria, di un database gestionale e di un archivio iconografico.
Una operazione molto più semplice dovrà infine consentire di
parametrizzare a richiesta il sistema in modo da soddisfare le esigenze anche
di coloro che optano per analisi cefalometriche diverse da quella di Tweed.
Le tecniche dell’intelligenza artificiale si propongono quindi come un
valido aiuto nella pratica clinica, senza alcuna pretesa di spodestare
l’esperto ortodontista dal ruolo romantico e tradizionale che da sempre gli
compete. Esse forniscono al medico come all’analista finanziario, una base già
discretamente affinata dalla quale partire per originali speculazioni e
intuizioni, caratteristiche di quella incredibile rete neurale naturale che è
il sistema nervoso centrale della specie umana.
In una epoca in cui il
fattore tempo diventa sempre più importante, ma che contemporaneamente pone
sempre più attenzione alla qualità, sia come metro per valutare la propria
soddisfazione professionale, sia come scudo in ambito medico legale, la
possibilità di avvalersi della tecnologia, non solo non ci sembra una proposta
inopportuna, ma appena tempestiva.
In chiusura ci piace
ricordare le parole che J. Casti fa pronunciare al grande A. Turing in un
dialogo immaginario svoltosi con il famoso filosofo Wittgenstein: “Quello che è
veramente importante è che ora disponiamo di una macchina che può eseguire i
calcoli come un “calcolatore” umano. Dal mio punto di vista c’è dell’altro.
L’esecuzione di un calcolo numerico […] è solo un caso particolare di una
operazione più generale: la manipolazione di simboli. E secondo me questo è
l’ingrediente principale del pensiero umano. Proprio perciò la nostra speranza
è di riuscire presto a costruire una macchina che possa davvero pensare come un
uomo. […] La mia idea [è] quella di considerare i passaggi logici attraverso i
quali si costruisce una dimostrazione alla stregua dei passaggi che un
calcolatore umano percorre per eseguire un calcolo”. (J.L. Casti, I cinque
di Cambridge, ed. Cortina, 1998, pp. 32, 36.)
Era il 1949 quando Turing (fig. 4) illustrava agli scettici il
potenziale intellettivo delle reti neuronali artificiali.
1. G. Bachelard: “La formation de l’esprit scientifique”, Lib. Phil. J. Vrin,
Paris, 1938.
2.
Wulff
H.R, Pedersen S.A.: “Filosofia della
medicina”, tr. It. Ed. Cortina, Milano, 1995.
3.
DSM,
Manuale diagnostico statistico dei disordini mentali, tr. It. Ed. Masson,
Milano, 1983.
4.
K.R.
Popper: “I due problemi fondamentali della teoria della conoscenza”, ed. Est.
5.
K.R.
Popper: “Il mondo di Parmenide, alla scoperta della filosofia presocratica”,
Tr. It. Ed. Piemme, Asti, 1998.
6.
S.
Russell, P. Norvig: “Intelligenza artificiale: un approccio moderno”, ed. Utet,
1998.
7.
Bloom
F.E., Lazerson A., "Il Cervello, la Mente e il Comportamento", tr.
It. Ed. Ciba-Geigy, Milano, i990, pag. 32
8. Treil J., Faure J., et al., “Architecture cranio-facio-maxillo-dentaire. Un
modèle tridimensionnel. Applications en clinique orthodontique et chirurgie
orthognathique”, E.M.C. Odontologie/Stomatologie 2000;23-455-E-40,8p.
9. Treil J., Faure J., et al.: “Cephalometrie 3D: principes et methodes”, Le
Journal de l’Edgewise, Vol. 41, 2000.
10.
J.L.
Casti, I cinque di Cambridge, ed. Cortina, 1998.
11.
Hodges
A.: “Storia di un enigma. Vita di Alan Turing, Tr. It. Bollati Boringhieri,
Torino, 1991”.
Dott. Gabriele Vassura,
laureato in Medicina e Chirurgia il 4.7.1990 a Milano, specializzato in
Ortopedia e Traumatologia il 4.7.95 a Milano.
Via Dante 2,
26839, Zelo buon Persico (Lo), e.mail gvassura@libero.it,
tel. 02.90659178.7, fax. 02.90659177
Dott. Massimiliano Vassura,
laureato in Medicina e Chirurgia il 15.10.1990 a Milano, specializzato in
Ortopedia e Traumatologia il 4.7.95 a Milano.
Dott. Ugo D’Aloja, laureato
in Medicina e Chirurgia il 19.10.1988 a Bologna, specializzato in Odontoiatria
il 19.10.88 a Bologna.
Dr. Oreste Venier, laureato
in Fisica nucleare a Pisa il 25.10.99,
specializzando in Fisica Sanitaria presso la Scuola di Specializzazione
dell’Università di Pisa.