UN NUOVO APPROCCIO ALLA DIAGNOSI ORTODONTICA

PROPOSTA DI UN MODELLO NEURALE.

 

Dott. Vassura G., Dott. Vassura M., Dott. D’Aloja U., Dr. Venier O.

 

 

Dichiarazione preliminare

Gli autori dichiarano che non è attualmente in commercio alcun prodotto informatico come quello descritto in questo lavoro e per cui lo stesso sia stato scritto. L’interesse degli autori ha, al momento, una valenza esclusivamente teorica e di ricerca.

 

 

Riassunto

 

Gli autori mettono luce le gravi carenze diagnostiche e classificative oggi presenti in ortodonzia, attribuendo ciò alle peculiarità di questa disciplina medica. A partire da questa base e con argomentazioni aggiuntive descrivono l’attuale disordine metodologico e operativo che condizionano teoria e pratica ortodontica. Propongono dunque una soluzione originale al problema con l’adozione di modelli cognitivi di derivazione matematica definiti neurali per la loro analogia con la struttura biologica del sistema nervoso centrale. Da qui è nato un programma che, attualmente, è ancora in fase sperimentale, ma che è già in grado di simulare correttamente il ragionamento diagnostico clinico. Vengono così introdotti in ortodonzia i concetti di riproducibilità, ripetibilità e falsificazione propri delle scienze più mature.

 

Premessa

 

Perché informatizzare la diagnosi ortodontica? Quali sono le novità? Quali sono le intenzioni? Perché dovremmo rinunciare a quell’aura indefinita e romantica che accompagna l’ortodontista nella ricerca fascinosa della diagnosi?

 

“Come l’applicazione è soggetta ad approssimazioni successive, anche il concetto scientifico corrispondente a un fenomeno particolare costituisce il raggruppamento delle approssimazioni successive ben ordinate. La concettualizzazione scientifica ha bisogno di una serie di concetti in via di perfezionamento per acquisire quel dinamismo cui ci riferiamo, ossia per formare un asse di pensieri inventivi.  Questa concettualizzazione totalizza e attualizza la storia del concetto. Al di là della storia, e spinta dalla storia, essa suscita esperienze destinate a deformare un certo stadio storico del concetto stesso. Essa ricerca nell’esperienza le occasioni per complicare il concetto, per applicarlo malgrado la sua resistenza e per realizzare le condizioni di applicazione che la realtà non riuniva. E’ allora che ci si rende conto che la scienza realizza i suoi oggetti e non li trova mai già belli e fatti. La fenomenotecnica estende la fenomenologia. Un concetto diventa scientifico nella misura in cui diventa tecnico, o viene accompagnato da una tecnica di realizzazione. Come si vede, il problema del pensiero scientifico moderno è di nuovo un problema filosoficamente intermedio. Come ai tempi di Abelardo anche noi vorremmo porci in una posizione intermedia fra i realisti e i nominalisti, fra i positivisti e i formalisti, fra i partigiani dei fatti e i partigiani dei segni. In tal modo, ci sottoponiamo alle critiche che possono giungere da tutte le parti.”

 (da G. Bachelard, “La formation de l’esprit scientifique”, Lib. Phil. J. Vrin, Paris, 1938).

 

Prima ancora di descrivere nel dettaglio il programma da noi ideato vogliamo illustrare i presupposti filosofici e metodologici che ci hanno prima indotto e poi guidato in questo lavoro, in modo tale da mostrare fin da subito una certa solidità di basi teoriche e la genuinità dei nostri interessi.

 

Ortodonzia tra scienza ed empirismo

 

Probabilmente nessuna altra branca della medicina sottopone lo specialista ad un percorso logico così tortuoso ed ostile nella comprensione del caso clinico e nella sua risoluzione come l’ortodonzia. L’ortodontista moderno si deve misurare con un fronte di conoscenze in grande espansione, con un numero imbarazzante di teorie ed ipotesi spesso in conflitto tra loro, con il progressivo miglioramento dei materiali disponibili e delle relative offerte merceologiche, che si sente il bisogno di almeno una base di partenza sicura: la diagnosi. Anche in sede diagnostica però si è esposti ad una quantità di variabili così numerosa e così variamente articolata nei rapporti reciproci, nelle precedenze e nelle necessità di essere considerate, da risultare algebricamente insostenibile anche per un veterano, se non pagando il prezzo di un grande dispendio di tempo. Non solo patogenesi, quadro clinico e terapia hanno quasi sempre contorni sfumati e confluenti ma persino le motivazioni del paziente e quelle dell’ortodontista, quand’anche fossero chiari fin dall’inizio, contribuiscono a generare una infinita serie di equivoci e di dettagli in grado di modificare anche in corsa la via terapeutica intrapresa.

 

In ogni campo della medicina, ancor prima che nell’odontoiatria generica, l’uomo ha sentito il bisogno di costruirsi specifiche categorie di pensiero che ha poi chiamato malattie. Il percorso razionale che porta a far coincidere una serie di segni e sintomi con una di tali categorie prende il nome di diagnosi. Da almeno centocinquant’anni nella nostra professione la distinzione, per quanto artificiale e limitata, dei quadri nosologici in malattie ha consentito ai professionisti di apprendere, insegnare e confrontarsi su basi comuni, con un linguaggio universale.

 

Una breve revisione della storia della classificazione delle malattie ci mostra come il moderno sistema, oggi in uso in medicina, sia passato attraverso una prima classificazione per sintomi, quindi per riscontri anatomo-patologici, poi su basi fisiologiche, e solo in ultimo in considerazione di fattori eziologici. Ogni classificazione ha solo modificato la precedente implementandone la capacità descrittiva attraverso poche scelte parole. Una diretta testimonianza di questo lungo itinere è facilmente reperibile in qualsiasi indice dei trattati di patologia, dove, quasi a stratificazioni successive, sono identificabili definizioni patologiche con razionale diverso.

 

I medici hanno studiato milioni di persone malate e dobbiamo immaginare che neppure due di esse fossero del tutto uguali per quanto riguarda i loro quadri clinici e i meccanismi causali sottostanti, ma per costruire una scienza medica era necessario evidenziare le somiglianze e non le differenze. Era necessario stabilire una classificazione dei pazienti al fine di classificare la conoscenza e l’esperienza clinica. Da questo punto di vista, non esistono generi e specie di malattie, e i nomi delle malattie possono essere considerati etichette che attribuiamo a gruppi di pazienti che si assomigliano sotto gli aspetti che consideriamo rilevanti”

(Wulff, Pedersen: “Filosofia della medicina”, Ed Cortina, 1996)

 

Insomma, anche se come clinici stiamo con Rousseau: “Il n’y a pas de maladies, il n’y a que de malades” e il nominalismo ci ripugna, ciononostante è necessario. Non esiste scienza senza le categorie. Perfino la psichiatria, che addirittura qualcuno ritiene non pertinente alla medicina, ha sentito questo bisogno. In quel campo gli autori del DSM (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali) hanno avuto difficoltà classificative molto simili a quelle che si incontrano in ortodonzia, tuttavia hanno proceduto

“definendo in modo operativo un grande numero di disordini mentali, facendo il minor numero possibile di assunzioni circa l’eziologia, la patogenesi e l’interpretazione psicologica dei sintomi. Essi basano le loro definizioni sui sintomi e sui segni presentati dai pazienti con l’obbiettivo di facilitare le indagini empiriche necessarie per aumentare la nostra conoscenza fattuale e per curare i pazienti in modo più efficace”.

(Wulff, Pedersen: “Filosofia della medicina”, Ed Cortina, Milano, 1995, pag. 100)

 

In ortodonzia non solo è difficile pervenire alla diagnosi, in senso tradizionale, ma addirittura impossibile perché le malattie non sono mai state neppure classificate in modo convincente. Francamente non sappiamo se classificare nominalmente le patologie ortodontiche in modo tradizionale sia possibile: al momento anche noi non siamo in grado di farlo e in attesa che ci riesca qualcun altro proponiamo di aggirare l’ostacolo, con un sistema classificativo non certo originale ma non ancora omologato: quello basato sui criteri terapeutici.

 

Riteniamo che tanto nella pratica quanto nella scienza ortodontica l'accettazione del confronto dialettico su casi clinici omogenei per protocolli di trattamento debba diventare lo standard, fintantoché criteri più tradizionali colmino questa grave lacuna. Non avvertiamo imbarazzo nell’elevare a regola un procedimento diagnostico, del tipo “ex adiuvantibus”, che nel corso della nostra formazione di medici è stato sempre relegato al ruolo di extrema ratio piuttosto empirica (nel senso meno nobile del termine).

 

In effetti ci sorprende che tutto ciò in ortodonzia non sia mai stato fatto e non si può dire che non se ne senta il bisogno. Ma soprattutto ci sorprende che in pochi si rendano conto di come questa lacuna impedisca di fatto all’ortodonzia di diventare una scienza. Di certo non ha dignità di scienza una disciplina nella quale non ci sono standard nella definizione di un quadro nosologico, nella metodica di rilevazione dei sintomi e dei segni, nelle strategie di trattamento, nella verifica della qualità dei risultati. Ciò che è peggio, il taglio artigianale di una professione che resta almeno per metà manuale, al pari di una arte, ostacola definitivamente un sereno giudizio sulla riproducibilità dei dati.

Tuttavia riteniamo che, su un ristretto numero di casi, ci possa essere un accordo universale tra gli ortodontisti su alcuni fattori quali: necessità di trattamento, strategie generali ed obbiettivi primari di risultato. Questo può costituire una base comune sulla quale noi intendiamo sviluppare il nostro progetto. In altre parole siamo convinti che sia possibile associare quadro clinico (non diagnosi) e strategia di trattamento (non terapia), delegando poi alla sensibilità ed alle inclinazioni di ciascuno la definizione di malattia in partenza e di cura alla fine.

 

Il progetto

 

L’idea che il ragionamento clinico si potesse ribaltare scaturisce dalla pratica clinica più che da un proposito speculativo, nonché dagli illuminati insegnamenti del dott. J. Giordanetto. I ripetuti tentativi di sbrogliare l’intricata matassa diagnostica dei casi ortodontici si scontra quotidianamente con un range di opzioni terapeutiche piuttosto limitato in generale ed ancor di più a fine crescita. Far passare il mare della diagnosi attraverso l’imbuto della terapia ha significato restringere, per esclusione, le strategie terapeutiche meno appropriate. Alla luce di questa considerazione abbiamo revisionato tutta la nostra casistica e ci siamo resi conto che, a patto di conoscere il significato di ogni dato diagnostico, sarebbe stato più ergonomico procedere in questo senso piuttosto che in quello tradizionale: confermare la diagnosi attraverso l’esclusione delle terapie meno appropriate invece che pianificare il trattamento in base alla diagnosi. Oggi sosteniamo che sarebbe ancora più ergonomico che a farlo fosse il computer.

 

L’ortodonzia ha conservato a tutt’oggi una sorta di verginità nei confronti dell’informatica, appena scalfita in passato dalla creazione di data base abbastanza comuni, gestionali di cartelle cliniche spesso condivisi con altre discipline, nonché da validi programmi per la cefalometria.

Anche i più noti softwear di supporto alla diagnosi sono però gravati da limiti intrinseci, rappresentati dall’apparentamento ideologico-filosofico a scuole o tecniche ortodontiche, che ne pregiudica dunque un uso più esteso.

 

Quello che ci proponiamo è di allestire un supporto informatico al ragionamento deduttivo del clinico in grado di condurlo attraverso la selva di informazioni che chiunque, anche il meno esperto, può trarre dal caso: un algoritmo logico che, affrancato da parentele filosofiche ingombranti, consenta un percorso diagnostico univoco ed oggettivo muovendo da basi modulabili soggettivamente, secondo le convinzioni e le attitudini peculiari di chi lo usa; ciò che potrà dunque costituire lo standard di cui tanto si sente la mancanza nella nostra pratica: uno standard flessibile, suscettibile di diversa parametrizzazione dei dati in entrata ma di identica restituzione dei dati in uscita.

 

Nell’articolato panorama delle discipline mediche l’ortodonzia si distingue per un carattere che ci è di grande vantaggio in questo progetto: l’approccio clinico al paziente, nel senso semeiotico classico, è guidato da segni e non da sintomi (fatta salva la percezione estetica del paziente). In ortodonzia non è necessario sapere interpretare singolarmente ogni dato, poiché esso è oggettivo, quantificabile, essendo misurato in millimetri o in gradi; “l’occhio clinico” interviene piuttosto quando è  l’insieme dei dati a dover produrre una sintesi: la diagnosi ovvero la scelta terapeutica. E’ da rimarcare il fatto che spesso il ragionamento del clinico si dipana per percorsi così tortuosi e oscuri da trasformare quello che dovrebbe essere un processo deduttivo per eccellenza in induttivo, e per questo difficilmente ripetibile, riproducibile e confutabile. Ciò comporta limiti che la scienza non consente, né nella ricerca, né nella didattica, conducendo l’ortodonzia nell’orbita dell’arte.

 

“Una caratteristica abbastanza curiosa dello spirito (pre)scientifico è quella di non potere dirigere le sue critiche contro se stesso. Lo spirito scientifico ha una capacità di autocritica ben diversa. [….] Per il progresso del pensiero, quello che limita una conoscenza è speso più importante di quello che la estende in modo vago”

(G. Bachelard, “La formation de l’esprit scientifique”, Lib. Phil. J. Vrin, Paris, 1938).

 

 

La formalizzazione del ragionamento

 

In un primo tempo i nostri sforzi si sono rivolti verso la formalizzazione logica del ragionamento diagnostico, come ogni giorno lo svolgiamo nel nostro studio. Abbiamo presto dovuto constatare che il percorso cognitivo che porta dai dati alla diagnosi e dalla diagnosi alla terapia  è un così complesso gioco di priorità e di precedenze tra le variabili, da non raggiungere talora il livello di coscienza. Il lungo lavoro di accostamento delle variabili in gioco ci ha portato a delle considerazioni scoraggianti, nell’ambito di un sistema aperto come quello descritto più oltre:

1.    non esistono variabili critiche: non è possibile concordare a priori sull’importanza di una o più fra le variabili tale per cui essa condizioni la diagnosi (e di conseguenza il piano di trattamento) di ogni caso clinico.

2.    non esistono variabili trascurabili: non è possibile concordare a priori sull’importanza di una o più fra le variabili del sistema aperto tale per cui essa non condizioni mai la diagnosi (e di conseguenza il piano di trattamento) di ogni caso clinico.

3.    sia possibile allestire un algoritmo classico ad albero o diagrammi di flusso solo nell’ambito di un sistema chiuso e solo al prezzo di un grande dispendio di tempo.

 

Abbiamo immaginato un gioco a parti invertite che ci pare molto chiarificatore sulle difficoltà che esistono in ortodonzia nel formulare la coppia diagnosi-trattamento.

I protagonisti del gioco sono un esperto in ortodonzia e una “macchina”. L’esperto deve formulare un piano di cura corretto per un caso ortodontico che non può visitare, ma che la macchina, se interrogata, è in grado di descrivergli. Egli può porre una sola domanda alla volta e dopo ogni domanda deve indicare un trattamento. Quando riterrà di avere dato la risposta corretta riceverà una penalità per ogni risposta errata precedente.

Supponiamo che la prima domanda riguardi i valore di anb che in risposta riceva: “anb = 8°”. Non avendo altri riferimenti ed essendovi obbligato dalle regole del gioco egli azzarderà: “estrazione dei due primi premolari superiori”. Abbiamo immaginato che il gioco continui come segue:

 

ESPERTO

Domanda

MACCHINA

Risposta

ESPERTO

Prescrizione

Anb

Ex. 14, 24

Affollamento anteriore inferiore

3 mm

Non estrazioni

Affollamento medio inferiore

4 mm

Ex. 14, 24, 35, 45

Impa

110°

Ex. 14, 24, 34, 44

Fma

40°

Ex. 16, 26, 34, 44

Sna

72°

Chirurgia

Età

12 anni

Ortopedia

…..

…..

…..

 

 

 

Per non appesantire il ragionamento ci siamo fermati qua, ma siamo sicuri che l’esperto avrebbe posto molte altre domande se avesse potuto. Per esempio se potesse sapere che il paziente è femmina sarebbe disposto a cambiare ancora idea. Se sapesse che ha avuto il menarca all’età di nove cambierebbe idea sicuramente.

 

In questo immaginario test clinico non hanno tanta importanza la qualità e la pertinenza di domande e di risposte per le quali chiediamo indulgenza. L’esperto, sullo stesso caso, ha cambiato parere ben 6 volte e, si badi, senza mai commettere errori grossolani. Semplicemente ogni variabile in entrata è risultata in qualche modo critica in senso diagnostico e terapeutico, e dunque nessuna può essere considerata tale in senso assoluto. E’ interessante notare come l’ordine delle variabili considerate sia del tutto indifferente sulla valutazione finale dell’esperto. Per giunta sarebbe stato possibile introdurne molte altre.

 

Ci siamo resi conto ben presto che era necessario allestire un sistema in grado di ovviare a questi limiti e che contemplasse caratteristiche quali:

1.    capacità autonoma di pesatura delle variabili 

2.    flessibilità sufficiente per adattare le pesature di caso in caso

3.    autoapprendimento per affinare nel tempo le due caratteristiche precedenti e cimentarsi con casi inconsueti.

 

La matematica prima e l’informatica poi ci vengono incontro con uno strumento che soddisfa queste nostre esigenze: le reti neurali.

 

Il modello sperimentale

 

Il modello sperimentale del programma, in fase di allestimento, beneficerà di un requisito fondamentale, quello che, per mutuare un termine caro alla fisica, definiamo sistema chiuso: esso ci consente di uscire dal circolo vizioso in cui cade chi sente da una parte la necessità di quantificare tutto, di non tralasciare i dettagli, di fornire al supporto logico o informatico che si vuole allestire il bagaglio completo dei dati attraverso il quale sia in grado, in modo indipendente, di restituirci un lavoro; dall’altra l’impossibilità di correlare, almeno per ora, tutte le variabili, per così dire, panoramiche, periferiche di ogni singolo caso. Dopo aver arbitrariamente escluso queste ultime, ci riserviamo la facoltà di riconsiderarle in fase di implementazione dello strumento informatico già approntato, magari con procedimenti ripetuti di falsificazione.

 

“Non il possesso della conoscenza, della verità inconfutabile, fa l'uomo di  scienza, ma la ricerca critica, persistente ed inquieta, della verità. […] Se si vuole mettere al sicuro la falsificabilità ricorrendo a decisioni metodologiche, queste decisioni devono limitare l'introduzione di ipotesi ausiliarie.

La prima di queste limitazioni si può esprimere sotto forma del principio della chiusura del sistema”.

(K. Popper, “I due problemi fondamentali della teoria della conoscenza”, tr. It. ed. Il saggiatore, Milano, 1987, pag. 399).


La definizione del sistema chiuso avrebbe richiesto o un grande lavoro di potatura sull’albero delle variabili oppure, viceversa, l’individuazione di parametri cardinali imprescindibili per ogni caso ortodontico compreso nel sistema chiuso, e tali per cui il programma che li conosce sia in grado di impostare sempre e comunque una diagnosi ed un piano di trattamento corretti.  Questa seconda strada è sicuramente la più percorribile.

Il sistema è aperto nel momento in cui per dovere di completezza si compila una accurata cartella clinica del paziente, mettendo così sul tappeto tutte le possibili variabili di studio. Il programma lavorerà in un sistema aperto solo nella sua versione estrema di perfezionamento, vale a dire quando le sue capacità saranno implementate a tal punto da considerare tutte le variabili significative.

 

La selezione dei parametri minimi e sufficienti allo scopo diagnostico (così come è stato definito in precedenza) ha avuto come obbiettivo di conciliare brevità e completezza. Come paradigma di sistema aperto viene preso il protocollo di studio del caso ortodontico in atto presso i nostri studi. Esso prevede diverse sezioni, nelle quali ogni più marginale aspetto clinico del caso viene considerato:

*   Anagrafica

*   Anamnesi medica generale (fisiologica, lavorativa, patologica remota, patologica prossima)

*   Anamnesi odontoiatrica generale (fisiologica, patologica, radiologica)

*   Anamnesi ortodontica (visite e trattamenti precedenti, comportamenti viziati)

*   Esame obbiettivo esterno (ispezione, funzioni, parafunzioni)

*   Esame obiettivo interno (parodonto, igiene, lingua, orofaringe, mucose, carie)

*   Esame radiografico (ortopantomografia, teleradiografia latero laterale, teleradiografia a-p, stratigrafia dei condili, rx occlusali, rx del carpo)

*   Analisi cefalometrica (divergenza, classe scheletrica, asimmetrie, crescita, valori angolari e lineari vari)

*   Studio dei modelli (affollamento, agenesie, sovrannumeri, perdita di elementi, rapporti occlusali sui tre piani, diastemi, rotazioni)

*   Studio fotografico (estetica profilo, asimmetria, atteggiamento)

*   Elenco dei problemi

*   Elenco delle soluzioni terapeutiche

*   Richieste ed aspettative da parte del paziente

 

Gli specifici requisiti di un sistema ortodontico chiuso sono invece rappresentati da 15 costanti e 6 variabili. Esse sono raccolte nella tabella I.

 

Tabella I. Caratteristiche del sistema chiuso.

COSTANTI

VARIABILI

Articolato dentizione permanente

Grado di affollamento dento-basale

Assenza di patologie sistemiche

Entità di divergenza scheletrica

Assenza di patologie del cavo orale

Rapporti di classe scheletrica

Piena collaborazione da parte del paziente

Rapporti di classe dentale

Completa disponibilità economica del paziente

Altezze facciali

Assenza di trattamenti precedenti

Tipologia di profilo

Formula dentale completa

 

Assenza di richieste estetiche

 

Età non superiore a 30 anni

 

Nessun limite professionale dell’ortodontista

 

Disponibilità di specialisti complementari

 

Assenza di problematiche articolari

 

Ambito finito di scelte terapeutiche

 

Sempre contenzione a fine cura

 

Assenza di cross bite chirurgici

 

 

 

La nostra familiarità con l’analisi cefalometrica di Tweed-Merrifield ci ha indotto ad utilizzare questo tipo di misurazione per i parametri del sistema chiuso. La scelta è del tutto arbitraria e del tutto ininfluente per gli scopi del lavoro; avrebbe potuto essere un’altra, o potrà in futuro, anche se bisogna riconoscere che, per il tipo di lavoro che ci accingiamo a fare, questo sistema garantisce vantaggi sicuri rispetto agli altri: in primo luogo è un sistema cefalometrico creato su e per pazienti a fine crescita, inoltre si compone di un numero di rilevazioni abbastanza contenuto ed infine è largamente diffuso nella pratica ortodontica.

 

Tabella II. Base di conoscenze del sistema, sec. Tweed. Primi 40 casi.

 

 

Triangolo diagnostico

Analisi sagittale

Analisi verticale

 

 

 

Analisi affollamento

 

 

Età

sex

fma

fmia

impa

sna

snb

anb

pfh

afh

ind

aobo

z

op

ant

med

pos

classe

spee

14

1

34

41

105

83

73

10

42

63

66

9

48

15

2

2

0

7.5

2

16

1

21

50

109

77

70

7

49

62

79

-8.5

58

4

-3

-3

-0.3

10

3.5

15

0

28

48

104

79

73

6

52

74

70

7

64

8

-3

0

-10

5

2

11

0

28

55

97

80

75

5

44

64

68

2

66

12

-6

0

-2.5

5

3.5

14

1

39

51

90

73

65

8

37

72

51

7

58

14

-4

0

-19

0

3

14

0

38

50

92

76

70

6

47

74

63

4

47

16

-3

0

-20

0

2.5

15

0

23

76

81

88

84

4

46

66

69

-1

75

12

-9

3

-6

0

5.5

13

1

22

70

88

83

78

5

42

60

70

2

79

3

-4

-1.3

4

0

5

13

0

29

66

85

81

74

7

40

69

67

6

63

8

-9

-3

-18

10

4.5

13

1

20

67

92

78

74

4

47

58

81

1

66

6

-3

0

-8

0

4.5

15

1

25.1

50.5

104.4

84.1

79.2

4.9

44.6

62.2

71

1.6

56.6

11.1

-4

5

-14

0

0

12

0

25

75

80

81

81

0

43

63

68

-3

74

12

-8

-2

-10.5

0

2

23

1

22

72

86

74

76

-2

54

63

85

-6

90

2

-2.5

1

9

0

-1.5

13

1

29

60

91

75

72

3

42

64

68

-1

65

11

-6

-4

-10

0

0

11

1

26

52

102

83

77

6

58

43

74

5

65

9

-2

0

-18

5

2

20

1

57

20

103

84.5

81

3.5

56

77

72

3.5

69

-2

-3

1

-13

0

1

11

0

20

62

98

87

83

4

48

57

84

1

68

4

-2.5

-2

-6

5

4

13

1

19

67

94

82

77

5

46

61

75

0

67

8

-4

1.4

-18

0

4.5

12

1

20

53

107

81

78

3

47

59

79

2

78

6

0

0

-18

10

4

12

1

27

57

96

80

75

5

35

59

59

0.5

68

11

-2

-2

-10

4

3

22

1

24.4

59.8

95.8

83.4

78.6

4.8

54.3

73.3

74.1

1.3

75.4

6.1

-2

4

0

0

5.5

12

1

18

64

98

78.7

75.1

3.6

49

60

81

0.4

71

3

-6

0

0

0

0

14

0

29

72.7

78.3

76.5

75.8

0.7

47.1

72.5

65

-1.5

75.8

4.7

0

-4

0

0

2.5

14

0

19

58

103

82

76

6

42

58

72

1

62

8

-2

0

-16

10

3

11

0

22

63

95

80

78

2

45

63

71

1

77

3

4

3

0

0

0

13

1

15

55

110

85

79

6

42.5

51

83

4

71

6

0

0

5

10

4

10

1

26

51

103

84

78

6

47

64

73

1.5

60

9

-3

0

-10

0

0

15

1

37

45

98

83

73

10

48

69

69

2

53

0

-5

-2

-10

0

0

24

0

19

73

88

78

76

2

55

76

72

1

86

5

-4

0

0

0

4

11

0

28

53

99

90

84

6

38

61

62

0

61

10

0

0

0

0

0

13

0

31.3

55.6

92.5

81.7

75.4

6.3

35.9

62.5

57.5

3.2

55.8

12.5

-5

-1

0

0

2.5

20

1

23

56

103

81

79

2

49

68

72

-2

77

9

-3.5

0

-6

0

2

18

1

10

61

109

82

78

4

49

57

85

4

77

0

0

-1

-2

10

5

19

1

25

66

89

72

71

1

40

70

57

-2

71

7

-1

0

0

0

0

11

1

20

64

96

83

82

1

46

68

67

-6.5

78

4

-1

0

-6

0

0

16

1

25

50

105

84

79

5

46

62

74

1.5

55

8

-4

0

-14

7.5

0

12

1

29

58

93

82

75

7

44

63

69

4

72

10

-6

0

0

5

0

17

1

33

60

87

77

71

6

41

63

65

4

65

12

0

0

0

10

4

14

1

26

70

84

79

76

3

45

71

63

1

71

8

-2

-2

-8

10

5

12

1

20

64

96

80

76

4

46

65

70

4

73

0

0

0

0

7.5

4

 

 

*   Rapporti sagittali: secondo la classificazione di Angle, al programma sarà nota la relazione intermascellare sia dal punto di vista scheletrico (ANB, Ao-Bo), sia da quello dentale. Nelle seconde classi, con buona approssimazione, si è convenuto quantificare la discrepanza in 5 mm per lato per una classe II molare completa e 2.5 mm per una classe II molare testa a testa. Valore accessorio è da considerarsi l’angolo del piano occlusale (OP) in grado di modificare le scelte terapeutiche

*   Analisi della divergenza: è espressa dall’angolo FMA. Le relazioni tra angolo di divergenza e rapporti di classe dentale e scheletrica rappresentano uno spunto di lavoro importante all’interno dell’algoritmo. Valori ausiliari sono l’altezza facciale posteriore (PFH), quella anteriore (AFH) e soprattutto il rapporto tra le due (Index).

*   Valutazione dell’affollamento: al programma vengono fornite le rilevazioni in mm del grado di affollamento dentale nell’arcata inferiore diviso per settori: anteriore, medio e posteriore. A questo proposito si registrano anche la necessità di riposizionamento incisivo inferiore nonché la correzione della curva di Spee e dei rapporti di classe dentale.

*   Valutazione del profilo:  il grado di convessità del profilo viene valutato dalla linea Z, nel suo rapporto angolare con il piano di Francoforte, quello di protrusione\retrusione si esprime in termini di sna e snb. Si rimanda alle capacità del programma la determinazione della componente anomala di un profilo mediante il confronto tra i valori dell’angolo Z e quelli di SNA, SNB e divergenza.

 

Tabella III. Riepilogo dei dati noti.

FMA

SNA

Ao-Bo

PFH

Affollamento anteriore

Curva di Spee

FMIA

SNB

Z

AFH

Affollamento medio

Correzione di classe

IMPA

ANB

OP

INDEX

Affollamento posteriore

 

 

 

L’insieme dei dati noti, riassunto dalla tabella III, di un numero congruo di casi costituisce la base di conoscenza dell’intero algoritmo: in altre parole la sua esperienza clinica. L’introduzione di un nuovo caso, corredato dei dati specifici del sistema chiuso, andrà a rappresentare il quesito diagnostico ovvero i “dati in ingresso” nel sistema; così come la risposta, sotto forma di scelta terapeutica ottimale, rappresenta il “dato in uscita”.

 

Esaminiamo ora dunque il ristretto ambito delle scelte terapeutiche, da noi arbitrariamente circoscritto alle variabili riassunte nella tabella IV.

 

Tabella IV. Ambito delle scelte terapeutiche.

Nessuna estrazione

Ex. Settore medio

Ex. Settore poster.

Ex. anomale

Chirurgia

 

Ex. 14, 24

Ex. 16, 26

Ex. Incisivo inferiore

 

 

Ex. 14, 24, 34, 44

Ex. 16, 26, 36, 46

Otto estrazioni

 

 

Ex. 14, 24, 35, 45

Estrazione altri molari

 

 

 

Ex. 15, 25, 34, 44

 

 

 

 

Ex. 15, 25, 35, 45

 

 

 

        

 

 

 

Le caratteristiche del programma

 

La soft computing è quella parte dell’informatica che si occupa di cercare di risolvere con l’ausilio della potenza dell’elaboratore quelli che vengono definiti problemi complessi. In un ambito operativo definito complesso il numero delle variabili in gioco è così alto da rendere impossibile lo studio a priori tutte le possibili combinazioni. L’ingegneria del software ha sentito dunque la necessità di invadere il campo filosofico dell’epistemiologia, alla ricerca della formazione della conoscenza e studiando nuove tecnologie di programmazione.

In questo senso l’intelligenza artificiale ha scelto la strada di insegnare ai computer come apprendere la conoscenza, anziché pretendere che il computer sia programmato a priori per gestire i problemi che gli vengono di volta in volta presentati.

Il nostro programma procede sulla strada del soft computing per mezzo di una rete neurale. Una rete neurale è un modello matematico di ispirazione biologica; una tecnologia che imita la struttura e la funzione delle connessioni neuronali cerebrali (fig. 2) e mediante l’apprendimento, nello svolgimento di un problema complesso, sortisce soluzioni analoghe a quelle cui perverrebbe il nostro sistema nervoso centrale. In essa “le unità di calcolo elementari corrispondono ai neuroni e la rete nel suo complesso corrisponde ad un gruppo di neuroni connessi tra loro”. (S. Russell e P. Norvig, “Intelligenza artificiale un approccio moderno”, ed. Utet, 1998).

 

Sistemi simili di intelligenza artificiale sono oggi abitualmente impiegati con successo dall’uomo nei più svariati ambiti di applicazione: industriale, sociale e soprattutto medico. Alcuni esempi sono il riconoscimento della vulnerabilità da eroina, la simulazione di scenari sociali dinamici, la cosiddetta Constraint Satisfaction per la valutazione del trattamento terapeutico, il riconoscimento di soggetto con rischio di dipendenza da alcool, riconoscimento e trattamento di soggetti con possibili disturbi del comportamento alimentare, le tecniche di imaging con differenziazione tra neoplasie maligne e benigne, il riconoscimento dell’evento coronarico acuto.

Uscendo dall’ambito medico, il più brillante e noto esempio di impiego della rete neurale è forse rappresentato dai software di riconoscimento caratteri altrimenti detto OCR.

 

“Aldilà delle loro utili proprietà computazionali, le reti neurali offrono forse la migliore opportunità di capire molti fenomeni psicologici che emergono dalla struttura e dalle operazioni specifiche del cervello. […] L’attrattiva finale delle reti neurali è che sono progettate per essere addestrate usando un algoritmo di apprendimento induttivo. […] Una rete neurale è composta da un certo numero di nodi, o unità, connesse da collegamenti. Ciascun collegamento ha un peso numerico associato ad esso. I pesi sono il principale mezzo di memorizzazione a lungo termine nelle reti neurali e l’apprendimento in genere ha luogo aggiornando i pesi. Alcune unità sono collegate con l’ambiente esterno e possono essere designate come unità di ingresso o di uscita. I pesi vengono modificati in modo tale da portare il comportamento della rete, in termini di associazione di uscite agli ingressi, ad essere più in linea con quanto richiesto dall’ambiente che fornisce gli input”. (Fig. 3).

(S. Russell e P. Norvig, “Intelligenza artificiale un approccio moderno”, tr. It. ed. Utet, Torino, 1998, pagg. 605-609).

 

 

La raccolta dei dati

 

Inutile sottolineare la necessità di una solida base di conoscenze: vale a dire una inappuntabile selezione dei casi, sia per l’ovvia opportunità di mettersi al riparo dalle critiche sia per non sviare il sistema che deve generare l’algoritmo. Sarebbe come mettersi in navigazione con la bussola rotta. Abbiamo effettuato una selezione di casi in cui diagnosi e terapia fossero state impostate da professionisti di comprovato valore e adusi al linguaggio con cui parlerà il nostro algoritmo. La qualità dei risultati a fine trattamento, tutti documentati, rappresenta la migliore garanzia del prodotto del sistema.

Tutti i casi sono stati trattati con apparecchiatura fissa secondo le prescrizioni della tecnica Tweed ed i trattamenti sono stati condotti seguendo gli indirizzi di tale filosofia.

Ciascuno di essi è stato ridotto a sistema chiuso restringendo il numero di variabili considerate come già detto, avendo avuto in precedenza cura di scartare a priori i pazienti che non si prestassero allo scopo.

Perché la base di conoscenza fosse completa, si è infine provveduto ad inserire un congruo numero di casi “normali” ovvero di dati e parametri relativi a pazienti che non necessitavano di cure ortodontiche.

La raccolta dei dati ed il loro inserimento nel sistema sono avvenuti per fasi dopo l’allestimento dello scheletro neurale.

In un primo tempo i records relativi ai primi 20 casi sono serviti per il collaudo del sistema: una sorta di prova tecnica delle parti, senza alcun riguardo per i dati in uscita, se non per il fatto che il sistema funzionasse. La fase di collaudo ha consentito però di ottimizzare l’inserimento dei dati attraverso il riconoscimento automatico di valori tra loro correlati e dipendenti, nonché la bonifica del sistema da informazioni che si sono rivelate pleonastiche. E’ stato per esempio possibile alleggerire il sistema evitando di computare espressamente i valori di anb o di fma, dal momento che sono direttamente ricavabili dagli angoli associati nei rispettivi triangoli; così come abbiamo avuto la conferma che l’inserimento di valutazioni estetiche come la linea del sorriso non avesse mai influenzato il piano di trattamento ma piuttosto la strategia e\o la tecnica con cui dovesse essere condotto.

In un secondo tempo si è raddoppiato il numero di casi in entrata allo scopo di effettuare un primo sommario allenamento della rete. L’allenamento rappresenta per il sistema il momento di apprendimento, quel nobile processo cognitivo attraverso il quale si tenta di comparare un pacchetto di dati in entrata con una possibile soluzione in uscita. E’ stato piuttosto sorprendente notare come già in questa fase fosse possibile identificare più soluzioni allo stesso problema, con l’indicazione, per ciascuna di esse, di una percentuale di probabilità. Il senso delle risposte era decisamente fuori bersaglio: allo stesso modo in cui un principiante giocatore di scacchi, conoscendo poche mosse, tende ad usare sempre le stesse, applicandole talora anche a sproposito.

Il sistema è apparso molto più equilibrato solo in un terzo tempo, quando abbiamo portato a 120 il numero dei casi. Il programma è ancora visibilmente sbilanciato verso un maggior numero di casi con scelte terapeutiche più frequenti, come per esempio i casi estrattivi dei quattro primi premolari. Abbiamo notato infatti che popolando quantitativamente in modo bilanciato il sistema con casi di scelta terapeutica differente era possibile ottenere risposte probabilisticamente più corrette.

E’ stato dunque il momento di operare dei piccoli test di accuratezza

 

Limiti attuali e potenzialità

 

Ci piace pensare che a breve saremo in grado di fornire al sistema un numero così alto di casi in entrata da rendere completa la base di conoscenze del programma. Attualmente stimiamo che 500 casi possano soddisfare questo obbiettivo.

Ma forse questo non è il problema principale, che è rappresentato piuttosto dalla approssimazione con cui attualmente è possibile rilevare i dati cefalometrici. Una allettante novità in questo senso è rappresentata dai recenti grandi lavori di J.Faure e J. Treil che per primi ci danno l’opportunità di una rilevazione scientifica dei punti di repere diagnostici, così come dovrebbe essere nella routine di questa specialità.

Per quanto attiene invece la completezza del sistema procederemo in futuro all’ammissione di dati aggiuntivi, aprendo e ampliando il ventaglio dei dati in entrata e di quelli in uscita. Forzare il sistema chiuso per gradini consentirà di far lavorare il programma sempre entro margini di sicurezza garantiti.

L’implementazione più immediata sarà l’affiancamento di un programma per cefalometria, di un database gestionale e di un archivio iconografico.

Una operazione molto più semplice dovrà infine consentire di parametrizzare a richiesta il sistema in modo da soddisfare le esigenze anche di coloro che optano per analisi cefalometriche diverse da quella di Tweed.

 

Conclusioni

 

Le tecniche dell’intelligenza artificiale si propongono quindi come un valido aiuto nella pratica clinica, senza alcuna pretesa di spodestare l’esperto ortodontista dal ruolo romantico e tradizionale che da sempre gli compete. Esse forniscono al medico come all’analista finanziario, una base già discretamente affinata dalla quale partire per originali speculazioni e intuizioni, caratteristiche di quella incredibile rete neurale naturale che è il sistema nervoso centrale della specie umana.

In una epoca in cui il fattore tempo diventa sempre più importante, ma che contemporaneamente pone sempre più attenzione alla qualità, sia come metro per valutare la propria soddisfazione professionale, sia come scudo in ambito medico legale, la possibilità di avvalersi della tecnologia, non solo non ci sembra una proposta inopportuna, ma appena tempestiva.

In chiusura ci piace ricordare le parole che J. Casti fa pronunciare al grande A. Turing in un dialogo immaginario svoltosi con il famoso filosofo Wittgenstein: “Quello che è veramente importante è che ora disponiamo di una macchina che può eseguire i calcoli come un “calcolatore” umano. Dal mio punto di vista c’è dell’altro. L’esecuzione di un calcolo numerico […] è solo un caso particolare di una operazione più generale: la manipolazione di simboli. E secondo me questo è l’ingrediente principale del pensiero umano. Proprio perciò la nostra speranza è di riuscire presto a costruire una macchina che possa davvero pensare come un uomo. […] La mia idea [è] quella di considerare i passaggi logici attraverso i quali si costruisce una dimostrazione alla stregua dei passaggi che un calcolatore umano percorre per eseguire un calcolo”. (J.L. Casti, I cinque di Cambridge, ed. Cortina, 1998, pp. 32, 36.)

 

Era il 1949 quando Turing (fig. 4) illustrava agli scettici il potenziale intellettivo delle reti neuronali artificiali.

 

 

 

Bibliografia

 

1.    G. Bachelard: “La formation de l’esprit scientifique”, Lib. Phil. J. Vrin, Paris, 1938.

2.    Wulff H.R, Pedersen S.A.:  “Filosofia della medicina”, tr. It. Ed. Cortina, Milano, 1995.

3.    DSM, Manuale diagnostico statistico dei disordini mentali, tr. It. Ed. Masson, Milano, 1983.

4.    K.R. Popper: “I due problemi fondamentali della teoria della conoscenza”, ed. Est.

5.    K.R. Popper: “Il mondo di Parmenide, alla scoperta della filosofia presocratica”, Tr. It. Ed. Piemme, Asti, 1998.

6.    S. Russell, P. Norvig: “Intelligenza artificiale: un approccio moderno”, ed. Utet, 1998.

7.    Bloom F.E., Lazerson A., "Il Cervello, la Mente e il Comportamento", tr. It. Ed. Ciba-Geigy, Milano, i990, pag. 32

8.    Treil J., Faure J., et al., “Architecture cranio-facio-maxillo-dentaire. Un modèle tridimensionnel. Applications en clinique orthodontique et chirurgie orthognathique”, E.M.C. Odontologie/Stomatologie 2000;23-455-E-40,8p.

9.    Treil J., Faure J., et al.: “Cephalometrie 3D: principes et methodes”, Le Journal de l’Edgewise, Vol. 41, 2000.

10.          J.L. Casti, I cinque di Cambridge, ed. Cortina, 1998. 

11.          Hodges A.: “Storia di un enigma. Vita di Alan Turing, Tr. It. Bollati Boringhieri, Torino, 1991”.

 

 

 

Gli autori

 

*   Dott. Gabriele Vassura, laureato in Medicina e Chirurgia il 4.7.1990 a Milano, specializzato in Ortopedia e Traumatologia il 4.7.95 a Milano.

Via Dante 2, 26839, Zelo buon Persico (Lo), e.mail gvassura@libero.it, tel. 02.90659178.7, fax. 02.90659177

*   Dott. Massimiliano Vassura, laureato in Medicina e Chirurgia il 15.10.1990 a Milano, specializzato in Ortopedia e Traumatologia il 4.7.95 a Milano.

*   Dott. Ugo D’Aloja, laureato in Medicina e Chirurgia il 19.10.1988 a Bologna, specializzato in Odontoiatria il 19.10.88 a Bologna.

*   Dr. Oreste Venier, laureato in Fisica nucleare a Pisa il 25.10.99,  specializzando in Fisica Sanitaria presso la Scuola di Specializzazione dell’Università di Pisa.